Esistono due possibilità per cercare di capire che aria tira nel mondo dell’Aikido. (Potremmo dire: nel mondo delle Arti Marziali).
Una è investire tempo e risorse per uscire ogni tanto dal proprio nido e andare a incontrare nuove persone e stili diversi.
L’altra è approfittare dei social network per creare dei canali, nuove relazioni e curiosare qua e là.
Questa seconda opportunità è certamente low cost e consente di girare letteralmente il mondo in un click. Di vedere e sentire azioni e parole di persone che vivono dall’altra parte del pianeta o di riascoltare e di rivedere addirittura persone che non ci sono più. E che magari sono state figure significative per la nascita di un movimento.
Se guardiamo il tenore dei contenuti e delle discussioni pubblicate sul web, possiamo tuttavia isolare degli elementi che sono propri dell’essere umano e che si ripropongono tali e quali su internet, sui social, sui tatami, nelle palestre, nelle associazioni… Ovunque!
Assistiamo spesso ad un cocktail tutto sommato sano -ma potenzialmente esplosivo- fatto da una dose di passione (la pratica continua la alimenta), di senso di appartenenza, di identità, di senso di quello che si fa, di gratificazione personale, di orgoglio e di almeno altre duecento caratteristiche dell’ego di un marzialista.
E questo mix genera forme di comunicazione che un osservatore può contemporaneamente etichettare come commovente devozione verso la disciplina e come una sorta di ossessione a tratti leggermente autistica.
Certi post, al pari di certe discussioni di spogliatoio, sembrano proprio co-creare alcuni stereotipi:
- Il custode della tradizione. Pubblica ogni giorno o quasi foto del fondatore, filmati del fondatore, cimeli del fondatore. Non sappiamo se anche a casa parli ai suoi familiari del fondatore, tuttavia è verosimile che a un certo punto siano loro che non parlano a lui per non sentirsi rispondere “Masagatsu Agatsu” alla domanda “Chi ha vinto il derby”?
- Il cugino di Amaterasu. E’ la variante intellettuale e spirituale del custode della tradizione. Scrive di solito post lunghissimi (più lunghi di questo). Magari li scrive anche corti. Ma in entrambi i casi sono così farciti di citazioni, frasi giapponesi, riferimenti alle cosmogonie protooceaniche che nessuno capisce in realtà né il senso né il fine delle sue parole. Il problema si autorisolve perché in fondo sono come il menù di Natale dalla nonna: ti tocca resistere fino in fondo.
- Bernardo (il fedele servo muto di Zorro). E’ come il custode della tradizione ma è più attento a mostrare la sua fedeltà incondizionata. Al caposcuola del suo movimento (ritratto in tutte le pose). Al suo sensei. Al suo dojo. Alla sua sigla di appartenenza. Bernardo ripubblica tutto ciò che i suoi “superiori” pubblicano. Usa le stesse parole. Non perché sia convinto. Perché fa gruppo. E nel fare gruppo, mostra la sua fedeltà, sperando in una carezza del padrone. Per Bernardo la tradizione da preservare è quella che dà senso al suo esistere all’interno di un gruppo.
- Il gemello opportunista di Bernardo. Solitamente per distinguere i gemelli si cerca di vestirli con qualche dettaglio differente. Nel caso di questa persona, è sufficiente vedere quante foto pubblica di sé in compagnia del caposcuola. E quante locandine di suoi seminar pubblica, in cui viene utilizzata una foto presa in uno stage del caposcuola per indurre il pubblico a pensare che Bernardo Bis sia un allievo esperto. Come il suo gemello, esiste se esiste il gruppo che lo riconosce come membro.
- L’ecumenico. Posta compulsivamente qualsiasi cosa abbia un profumo di marzialità. Bambini cinesi che si menano come fabbri nella tradizione shaolin, a cui segue un post filosofico sul senso della spada e del fiore, seguito dalla locandina di una festa di via in cui c’è la dimostrazione del sumo dietetico… Praticare con queste persone è uno spasso, perché con loro di solito si pratica di tutto, tranne quello che ha chiesto di fare il maestro. Per lui la tradizione è il “ma sì, va bene tutto”.
- Spartaco buddista. Spartaco ha raggiunto l’illuminazione. Ha capito di essere lui il depositario del sapere e della verità. E quindi passa il tempo a denigrare i post altrui. Anche quelli in cui ci sono teneri gattini che giocano con un gomitolo. Egli sa. Egli conosce la verità e con serafica calma spande la sua acredine su tutto ciò che non capisce e non condivide. Nel contempo, siccome è Spartaco, si ribella al potere costituito e predica anarchia. Ovviamente è il più dittatoriale tra i praticanti, ma ad un eroe non si può chiedere granché di più.
Potremmo andare avanti a lungo. Credo che ognuno possa aggiungere un profilo, uno stereotipo. Così come credo che, leggendo, ognuno possa riconoscersi o riconoscere qualcuno incontrato dal vivo o sul web.
Nell’irriverente (e anche un po’ blasfemo) Brian di Nazareth dei Monty Python, un gruppo di persone desiderose a tutti i costi di avere un messia da seguire, pensa di identificare in una persona normalissima il prescelto.
L’autosuggestione del gruppo di sedicenti fedeli è tale che ogni evento viene visto come segno. Una scarpa abbandonata in una fuga precipitosa fa nascere negli esagitati una fazione di seguaci che si autoproclama “Scarpiana” (fazione che peraltro si divide da subito in due sottogruppi), mentre una donna, ergendo una zucca al cielo, diventa referente degli “Zucchiani”.
Più calpestiamo i tatami (il “nostro” e quello degli stage), più comprendiamo che per ragioni umane (e anche per limiti ed esigenze didattiche), il messaggio originale viene trasmesso secondo dialetti differenti. Ci piaccia o meno, nessuno è il depositario unico di quanto ci è stato dato.
Siamo reduci da poco da una serie di preziose esperienze maturate grazie ai sempai di Endo Sensei. E’ una pratica che aiuta a comprendere e a far fiorire la ricchezza del dialetto con cui parliamo a casa nostra. E, viceversa, il nostro dialetto, essenzialmente uno stile di Iwama rigoroso ma molto aperto alle contaminazioni, arricchisce le proposte altrui. Né dualità, né contrapposizione. Solo un incrementale supporto per una accresciuta comprensione delle cose.
Iniziare a dire (convinti!) che “Aikido è…” o che “il Fondatore voleva che…” è molto scivoloso. Acceca.
Allo stesso modo, dire che tutti i dialetti siano uguali è un assunto ambiguo. Tutti i dialetti possono dire lo stesso contenuto ma se usati male generano confusione.
Per cui, certamente possiamo dire che il fondatore non intendesse indicare di diventare Zucchiani né Scarpiani. Eppure lo sguardo alla nostra società, alle miriadi di religioni, di partiti, di stili marziali, di sigle…Dice che siamo diventati così.
I fondatori (di qualsiasi cosa) hanno tracciato chiari i principi e le prospettive. Ma noi preferiamo il campanilismo e la tranquilla sicurezza di essere etichette ambulanti con la cintura (bianca o nera). E’ più facile sentirsi uno Scarpiano che una persona in cammino sul serio e che trova da sola la definizione del proprio io.